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Böcker i Classici della Letteratura Italiana-serien

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  • av Dino Compagni
    356,-

    Quando io incominciai propuosi di scrivere il vero delle cose certe che io vidi e udi', però che furon cose notevoli le quali ne' loro principi nullo le vide certamente come io: e quelle che chiaramente non vidi, proposi di scrivere secondo udienza; e perché molti secondo le loro volontà corrotte trascorrono nel dire, e corrompono il vero, proposi di scrivere secondo la maggior fama. E acciò che gli strani possano meglio intendere le cose advenute, dirò la forma della nobile città, la quale è nella provincia di Toscana, edificata sotto il segno di Marte, ricca e larga d'imperiale fiume d'acqua dolce il quale divide la città quasi per mezo...

  • av Giuseppe Cesare Abba
    356,-

    Parma 3 maggio 1860. Notte.LE ciance saranno finite. Se ne intesero tante che parevano persino accuse. ¿ Tutta Sicilia è in armi; il Piemonte non può muoversi; ma Garibaldi? ¿ Trentamila insorti accerchiano Palermo: non aspettano che un capo, Lui! Ed egli se ne sta chiuso in Caprera? ¿ No è in Genova. ¿ E allora perchè non parte? ¿ Ma Nizza ceduta? dicevano alcuni. E altri più generosi: ¿ Che Nizza? Partirà col cuore afflitto, ma Garibaldi non lascierà la Sicilia senza aiuto.I più generosi hanno indovinato. Garibaldi partirà, ed io sarò nel numero dei fortunati che lo seguiranno.

  • av Paolo Valera
    410,-

    Ho sempre avuto la fortuna di trovare sul cammino della vita dei simpatizzatori o delle persone che mi volevano bene prima di conoscermi. Al Cellulare, nello stanzone di «carico e scarico», mi si registrava e mi si salutava come un personaggio di casa. Mi si ricordavano episodii della mia vita cui io avevo completamente dimenticati. Come quello di essere stato alloggiato in una cella come scrittore scollacciato o come un égoutier della penna. Tra gli impiegati che volevano assolutamente essermi utili, era un giovinetto alto, elegante, con una bella faccia illustrata dai baffi superbi e chiari e illuminata dalla lucentezza degli occhioni neri in campo azzurro

  • av Friedrich Nietzsche
    410,-

    Allorchè Zarathustra ebbe raggiunto il trentesimo anno, abbandonò il paese nativo ed il nativo lago e andò sulle montagne. Ivi godè del suo spirito e della sua solitudine e non se ne stancò per dieci anni. Ma alla fine il suo cuore si cangiò ¿ e un mattino, levatosi con l'aurora si mise di fronte al sole e gli disse: O grande astro! Che sarebbe della tua beatitudine, se tu non avessi coloro ai quali risplendi? Da dieci anni vieni quassù nella mia caverna; ti saresti tediato della tua luce e di questo cammino, se non fosse per me, per l'aquila mia e pel mio serpente.

  • av Giuseppe Cesare Abba
    356,-

    Da Quarto al Volturno

  • av Giuseppe Cesare Abba
    356,-

    Fumavano le carbonaie da tutte la parti della montagna, silenziose come se si fossero formate e accese da sè. Nel fitto dei faggi e giù giù nei castagneti profondi, parlavano delle voci che parevano di gente lontana e forse era vicina: potevano essere boscaioli, ma se fossero stati carabinieri? Pellegro si fermò sulla vetta. Aveva tanto sudato per arrivarvi, si sentiva le gambe così stroncate, che una rifiatata bisognava darla. Tanto a star un pezzo lì piuttosto che altrove, egli non ci perdeva; che già, quasi da due anni, andava girando senza meta e senza far nulla.

  • av de Amicis Edmondo
    356,-

  • av Lodovico Antonio Muratori
    460,-

    Al presente anno rapportò il cardinal Baronio , e dopo lui Camillo Pellegrino , il principio del regno di Grimoaldo. Ma sapendo noi da Paolo Diacono , che succedette l'assedio di Benevento prima che l'imperador Costante venisse a Roma, ed essendo egli arrivato a Roma nel dì cinque di luglio di quest'anno, correndo l'indizione sesta, dopo essere stato presso Benevento, come troviamo asserito anche da Anastasio per conseguente bisogna supporre che Grimoaldo nel precedente anno 662 dopo il mese di luglio occupasse il regno dei Longobardi (al che occorse non poco tempo), e che nel presente poi venisse da Pavia in soccorso dell'assediata suddetta città di Benevento.

  • av Ferdinando Galiani
    356,-

    Grande, e nobile parte del Dritto delle Genti è questa, di cui mi è stato imposto di ragionare, e tanto più degna d'essere a fondo trattata, quanto ella più spezialmente si confà, e si adatta all'animo, ed ai consigli de' Principi placidi, e virtuosi. Sono in fatti le loro neutralità un bene universale della misera spezie umana, che all'ombra di esse trova un asilo, ed un ricovero dalle straggi desolatrici della guerra: sono un virtuoso esempio, e spettacolo di felicità, e di calma da far rientrare in loro stessi, ravvedere, ed arrossire a quell'aspetto i Sovrani contendenti, accesi or dal furor dell'ira, or dell'ambizione, or della mal calcolata avidità...

  • av Pasquale Villari
    356,-

    Nel principio di questo secolo, si pubblicava a Roma la Visione d'un frate Alberico, monaco di Montecassino, e subito si vide accapigliarsi l'irrequieta moltitudine dei comentatori. Da un lato si voleva, in quella strana leggenda, trovar la prima idea del poema sacro; e dall'altro, si gridava allo scandalo contro chi poteva veder somiglianza tra le divine immagini del poeta, e i sogni puerili d'un frate ignorante. Ma questa battaglia cessò presto, e non si seppe mai chi aveva ottenuto la vittoria. Gli avversari sembravano stanchi d'aver tirato dei colpi in aria, senza risultato;

  • av Lodovico Antonio Muratori
    460,-

    Non sopravvisse molto alle sue disgrazie l'infelice deposto imperador Carlo il Grosso. Finì egli di vivere nel dì 12 di gennaio dell'anno presente, secondo Reginone , oppure nel dì seguente, secondo gli Annali pubblicati dal Freero , i quali aggiungono: Coelum apertum multis cernentibus visum est, ut aperte monstraretur, qui spretus terrenae dignitatis ab hominibus exuitur, Deo dignus coelestis patriae vernula mereretur feliciter haberi: quasi che egli spontaneamente per servire a Dio avesse dato un calcio alle umane grandezze. Aveano spaccio simili immaginazioni in questi secoli d'ignoranza.

  • av Niccolò Tommaseo
    356,-

    Nel dire ch¿io farò di Antonio Rosmini, mi conterrò nelle cose ch¿io posso attestare com¿uomo che l¿ha conosciuto dalla sua giovanezza; e mi sarà conforto al dolore rammentare come la vita di lui fosse tutta una tranquilla, e fin dä primi anni preordinata, armonia. Nato in Rovereto, l¿amenità del paese cominciò bentosto a svolgere in lui il senso della pura bellezza alla quale aveva informato lo spirito e n¿erano indizio i lineamenti del viso composti a modestia dignitosa, avvivati di subito rossore ch¿esprimeva la schiettezza dell¿anima e l¿agilità del pensiero, n¿era indizio la persona agile e forte, ritraente della materna delicatezza e un pö del rigido vigore paterno.

  • av Gian Pietro Lucini
    356,-

    «Pourquoi rien n'est il que fraude!»O Tizio, ti confesso di avere un pessimo carattere: ¿ tu e li altri intorno assentite, sorridendo: ¿ comunque, mi compiace: ¿ il vostro sorriso scompare dalle labra dove lo sostituisce una smorfia: ¿ anzi, vi dirò, che, per differenziarmi dalla palude borghese che tenta invischiare tutta la vita italiana, vado a coltivarmelo con gran cura di reattivi velenosi, di caustici esasperanti. Voi crollate la testa, commiserandomi, e, vista la mia pervicacia ¿ che mi danneggia ¿ mi raccomandate alla psichiatria. Io devo infatti patire di qualche morbo al cervello: ostinarsi a prediligere alcune pregiudiziali che ad ogni muover di passo ti domandano: «Dove vai? ...

  • av Emilio De Marchi
    410,-

    Milano, la grande città del fracasso, dopo aver mandato a casa l'ultimo ubbriaco, si sprofondò nel silenzio grave delle piccole ore di notte. A San Lorenzo sonarono due tocchi languidi, rotti dalla neve, che cadeva a fiocchi larghi. Il Berretta, buttato l'ultimo pezzo di legno nel caminetto, fregandosi in fretta i ginocchi, brontolò in fondo alla gola: «Basta, finirà anche questa». Nella stanza vicina, dove malamente ardeva una candeluccia benedetta, stava nel suo letto distesa la povera signora Ratta, morta, vestita di una logora gonnella...

  • av Cesare Beccaria
    410,-

    Lettor mio cortese, dopo aver veduto il titolo del libro io metto pegno che ti verrà in mente il citato verso di Orazio, di che promettendoti maggior cose, ch¿io attenerti non possa, e trovandoti, come abbi letto l¿opera, della aspettazione ingannato, avrai a soggiungere quest¿altro che segue: Parturiunt montes nascetur ridiculus mus. Acciocchè dunque non accada siffatto sconcio con mio biasimo, e con dispiacer tuo, io ti vö ammonire fin da principio, che il mio libro non è, nè pretende essere un gran fatto, sebbene porti un titolo alquanto fastoso, e che io non ho inteso in niun modo d¿allacciarmi la giornea, e farla da maestro a chicchessia, potendo anzi per età e per dottrina essere s...

  • av Carlo Bianco
    356,-

    Da tirannico veleno travagliati, da gotica pestifera infezione ammorbati, le vostre già robuste membra per effetto suo accasciate, dalle gherminelle dello straniero, che nel vedervi patire gioisce, accalappiati; voi nel lordume della servitù, della vergogna, del disonore, fra pene e gemiti, la vita da secoli trascinate. Eccovi un possente efficace, alessifarmaco frutto d'indefesso pensiero, profonda meditazione, e lunga esperienza, il cui effetto sarà senza dubbio infallibile, se con ferma risoluzione voi lo inghiottirete, ma per ismaltirlo, una volontà decisa, ed uno stomaco forte si esigono.

  • av Charles Dickens
    410,-

    Finalmente, ebbi una risposta dalle due vecchie signorine. Esse mandavano i loro saluti al signor Copperfield, e lo informavano d¿aver letto attentamente la sua lettera «tenendo di mira la felicità delle due parti» ¿ frase che mi sembrò poco rassicurante, non, solo per l¿uso da esse fattone relativamente alle discrepanze familiari già ricordate, ma perché avevo (ed ho in tutta la vita) osservato che i termini convenzionali sono una specie di razzi, i quali, facilmente accesi, assumono alla fine una gran varietà di forme e di colori che non s¿immaginavano al primo scoppio. Le signorine Spenlow aggiungevano di credere di non poter esprimere, «per iscritto», una opinione rispettivame...

  • av Giulio Carcano
    356,-

    Di là dal ponte di San Celso, in quelle parti che conservano ancora la buona popolar fisonomia della nostra vecchia Milano, una strada solitaria, a traverso di campi e d'ortaglie, conduce da quello all'altro sobborgo della porta Vigentina, poco stante dalle mura della città. È quella che chiamano strada di Quadronno; ma, quantunque io soglia con amore frugar nelle cronache e nelle descrizioni di Milano, non andrò in cerca dell'origine di codesto nome, con buona pace de' dottori ed antiquarii che ne storpiarono, nei loro polverosi e tarlati volumi, non so che strane e stiracchiate spiegazioni, le quali troppo danno a pensare.

  • av Giordano Bruno
    356,-

    Elpino. Come è possibile che l'universo sia infinito? Filoteo. Come è possibile che l'universo sia finito? Elpino. Volete voi che si possa dimostrar questa infinitudine? Filoteo. Volete voi che si possa dimostrar questa finitudine? Elpino. Che dilatazione è questa? Filoteo. Che margine è questa? Fracastorio. Ad rem, ad rem, si iuvat; troppo a lungo ne avete tenuto suspesi. Burchio. Venite presto a qualche raggione, Filoteo, perché io mi prenderò spasso de ascoltar questa favola o fantasia.

  • av Severino Boezio
    356,-

    Io che, già lieto e verde, alto cantai Nel mio stato fiorito, or tristo e bianco Pianger convegno i miei dolenti guai. Ecco le Suore meste, e Febo stanco, Versi mi dettan lagrimosi; ond¿io Bagno scrivendo il destro lato e ¿l manco. Queste pur nè speranza, nè desio, Nè tema spaventò, che meco tutte Il cammin fide non seguisser mio.

  • av Lodovico Antonio Muratori
    356,-

    BEATISSIMO PADRE, S¿io ho da manifestare il motivo, che mi fa comparire prostrato a i piedi della Santità Vostra con questa operetta, mi convien prima rammentare una verità, conosciuta da ognuno, e riguardata come uno de¿ più gloriosi pregi della di Lei sacratissima persona. Portò la divina Provvidenza con un soffio inaspettato al trono pontificio il Cardinale Lambertini; e vel portò, acciocchè il mondo cattolico, ed anche i nemici del cattolicismo, mirassero ed ammirassero su quel trono un Pontefice dotato di tutte quelle doti e virtù, che richiede un si santo e sublime grado...

  • av Jerome K. Jerome
    356,-

    Molti anni fa ¿ ero ancora molto piccino ¿ abitavamo in una gran casa d¿una strada lunga, dritta e buia dell¿estremità orientale di Londra. Di giorno era rumorosa e affollata: ma di sera placida e solitaria. I fanali a gas, pochi e radi, avevano piuttosto il carattere di fari che di lampioni, e la guardia col passo grave e pesante della sua lunga ronda, pareva che s¿avvicinasse sempre più o si dileguasse, tranne nei brevi momenti in cui si fermava a far stridere una finestra o una porta, o a illuminare con la lanterna qualche vicolo buio che conduceva verso il fiume.

  • av Charles Dickens
    410,-

    In quella casa c¿era un domestico, che, di solito, come potei capire, accompagnava Steerforth. Era stato da lui assunto in servizio a Oxford, ed era all¿aspetto un modello di rispettabilità. Credo che non sia mai esistito un uomo della sua condizione d¿aspetto più rispettabile. Era taciturno, dal passo morbido e leggero, calmo di modi, deferente, attento, sempre presente quando si aveva bisogno di lui, sempre assente quando di lui non si aveva bisogno; ma la sua grande caratteristica era la rispettabilità. Non aveva il volto mobile, anzi aveva il collo piuttosto rigido, e la testa stretta e liscia, con capelli corti pendenti sulle orecchie, e il vezzo speciale di bisbigliare la le...

  • av Sofocle
    356,-

    ANTIG. O Ismene, or di' germana mia: de' mali, Onde cagion fu Edípo, alcun ne sai Che, viventi ancor noi, non compia Giove? Nulla evvi pur d'obbrobrïoso e turpe, Che a' tuoi danni ed a' miei giunto io non vegga. Ed or qual bando è questo che il regnante (Siccome è grido) a' cittadini tutti Posto ha testè? N'hai tu contezza? udisti Favellarne? o non sai che a' nostri amici

  • av Lodovico Antonio Muratori
    386,-

    Continuava l'imperadrice Irene nel governo dell'imperio orientale, ma con sentire il trono che le traballava sotto a' piedi. Più d'uno v'era che aspirava all'imperio, e facea de' maneggi per questo, e principalmente Aezio e Stauracio patrizii emuli lavoravano forte sott'acqua per compiere questo disegno, ciascuno in proprio vantaggio. Irene, per cattivarsi la benevolenza del popolo, gli avea rimesso nel precedente anno alcuni tributi. Tuttavia, non fidandosi dell'instabilità di esso popolo, e paventando le mine segrete de' concorrenti al soglio imperiale, determinò di appoggiarsi a Carlo Magno, la cui riputazione e possanza facea grande strepito anche in Oriente.

  • av Lodovico Antonio Muratori
    460,-

    Castino, che procedette console nell'anno presente, è quel medesimo che di sopra vedemmo rotto dai Vandali nella Betica. Onorio Augusto nell'anno precedente lo avea disegnato console pel presente; ed egli senza scrupolo esercitò il consolato sotto il tiranno Giovanni, se pure lo stesso Giovanni quegli non fu che gli compartì questo onore, in ricompensa d'aver serrati gli occhi alla sua assunzione all'imperio, e non fattogli contrasto alcuno, ancorchè egli fosse generale delle milizie romane. Certamente Prospero scrive che Giovanni occupò, per quanto si credette, l'imperio a cagione della connivenza di Castino, E restano leggi di Teodosio, date in questo anno, con ivi memorarsi il solo Vi...

  • av Lodovico Antonio Muratori
    460,-

    In Oriente fu creato console questo Giovanni, uomo pagano di setta, e ciò non ostante carissimo e potentissimo nella corte di Giustiniano, siccome abbiamo varii passi di Procopio. Era prima salito alla dignità di prefetto del pretorio, ed ornato del patriziato; e tuttochè avesse ucciso Eusebio vescovo di Cizico, ciò non gl'impedì punto il conseguire i primi onori dell'imperio. Se questo è vero, si conterà anch'esso fra i reati di Giustiniano. Nell'Occidente l'anno presente si trova contrassegnato colla formula: post consulatum Paulini junioris anno IV. Per attestato di Liberato diacono , giunto che fu papa Silverio a Palara, il vescovo di quella città...

  • av Luigi Alamanni
    356,-

    Che deggia, quando il sol rallunga il giorno, Oprar il buon cultor nei campi suoi; Quel che deggia l¿estate, e quel che poscia Al pomifero autunno, al freddo verno; Come rida il giardin d¿ogni stagione; Quai sieno i miglior dì, quali i più rei; O magnanimo Re, cantare intendo, Se fia voler del Ciel. Voi, dotte Suore, Lontan lasciando d¿Elicone il fonte...

  • av Vittorio Alfieri
    356,-

    La forza governa il mondo, (pur troppo!) e non il sapere: perciò chi lo regge, può e suole essere ignorante. Il principe dunque che protegge le lettere, per mera vanità e per ambizioso lusso le protegge. Si sa, che le imprese mediocri vengono a parer grandi in bocca degli eccellenti scrittori; quindi, chi grande non è per se stesso, ottimamente fa di cercare chi grande lo renda. Ma, tutti gli uomini buoni si debbono bensì dolere, e non poco, che queste penne mendaci si trovino, ed anche a vil prezzo; e che spesso i più rari ed alti ingegni si prostituiscano a dar fama ai più infimi; e che, in somma, tentando d¿ingannare i posteri, gli scrittori disonorino la loro arte e se stessi.

  • av Luigi Capuana
    356,-

    ¿E la giustizia?¿esclamò Lastrucci. ¿Quale?¿replicò Morani.¿Di quella del mondo di là, nessuno sa niente; la nostra, l'umana, è cosa talmente rozza, superficiale, barbarica, da non meritar punto di essere chiamata giustizia. Condanna o assolve alla cieca, per fatti esteriori, su testimonianze che affermano soltanto l'azione materiale, quel che meno importa in un delitto. Il vero delitto, lo spirituale, resultato del pensiero e della coscienza, le sfugge quasi sempre; e così essa spessissimo condanna quando dovrebbe assolvere e assolve, pur troppo! quando dovrebbe condannare.¿

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